Io, La Corte e Omnilegent riapriamo la rubrica sui Punti di Vista in cui scriviamo qualcosa partendo da un punto di vista speciale.
Il mio testo
Un tempo in quella stanza c’erano grida, risate e musiche di giochi. Ora tutto è silenzio e la polvere cade fitta sugli oggetti come neve d’inverno. Non riesco a scrollarmi di dosso quel peso sul mio pelo ormai arruffato e crespo. Guardo la stanza con il solo occhio che mi è rimasto. Ricordo ancora quando, a forza di giocare, l’occhio mi cadde. Mai disgrazia fu felice: la gioia di stare tra le braccia amorevoli del mio padroncino avevano cancellato il dolore. Alla fine mi bastava vedere quello che lui mi raccontava, il suo mondo era il mio. Mi raccontava del fuori: la scuola, i suoi amici, i suoi genitori. A volte mi aveva persino portato al parco e dai suoi nonni.
Poi qualcosa era cambiato. Prima il disprezzo: venivo lanciato per la stanza e disprezzato. Quando gli amici del padroncino venivano da lui, ridevano di me, del fatto che ancora fossi lì nella stanza di un ragazzo ormai cresciuto. Poi silenzio ed ero stato dimenticato lì. La tristezza mi aveva distrutto, mi aveva imbruttito e poi la mia coscienza si era persa.
Si risvegliava, pigra, a tratti. Il dolore mi aveva obnubilato talmente tanto da non provare più nulla. A volte venivo spolverato dalla madre, a volte persino portato in lavatrice. Subivo passivamente tutto questo, senza opporre resistenza. Cercavo di spegnere la mia coscienza il prima possibile con la forza della rassegnazione. Preferivo, anzi, essere lasciato in pace: non c’era più motivo che io ci fossi. Avrei voluto mai conoscere quella felicità che ora mi straziava di aver perso.
A volte, la cuginetta del padroncino veniva a trovarlo. Appena sentivo quelle grida acute, speravo solo di essere dimenticato come sempre. E invece, puntualmente, mi afferrava con le sue mani appiccicose di lecca lecca e mi torturava con la sua energia e irruenza. E il padroncino era lì, senza nemmeno dire una parola per difendermi, nemmeno in onore dei vecchi tempi andati. Era lui quello che mi faceva più male, mentre venivo fatto volteggiare a destra e a sinistra. I suoi occhi vuoti, pieni di vergogna all’idea di avermi considerato il suo migliore amico.
E io ero lì, immobile, a guardare quello sguardo che mi distruggeva.
Tanto meglio essere dimenticati.
Tema
Il tema di oggi era: un peluche dimenticato, di La Corte
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L’ha ripubblicato su Omnilegente ha commentato:
Ed ecco il racconto di Alice Jane Raynor per la nostra rubrica Punti di vista!
Buona lettura :3
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