The Xmas Carols: lo spirito del Natale

Questa storia è stata scritta in occasione di “The Xmas Carol – Il calendario dell’avvento” organizzato da Il mondo di shioren. In fondo alla storia troverete il calendario delle varie tappe

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Alice Jane Raynor ha iniziato a leggere classici e ad amarli fin da bambina, al punto da sperimentare la sua prima pubblicazione in self a sedici anni. Il suo stesso nome è un omaggio alla sua amata Jane Eyre.

Che altro dire di me per chi non mi conosce. Amo anche la musica e adoro scrivere analisi e recensioni di libri sul mio blog. Ho anche l’idea di iniziare a farci dei video in merito e uno già è stato fatto sul mio canale youtube. Sto mantenendo attivo anche il mio account instagram dove pubblico tutti gli aggiornamenti di quello che faccio (dentro e fuori il blog).

Non scrivo da molto sul blog, penso ve ne sarete accorti. Ho pensato a questa storia tempo fa, in autobus. La scrittura è di getto e sono un po’ arrugginita, ma spero possa esserci qualcosa di interessante. Buona lettura!

La prossima tappa sarà di Pensieri alla finestra


Cammino per le strade di una città – la mia città – e guardo le vetrine sollevando appena gli occhi a una luce, a un riflesso di carta dorata e alle note di una musica natalizia che filtra dalle porte. La ressa mi forza a procedere con una lentezza che non mi aggrada. Di solito evito quei luoghi affollati, questa gente appiccicosa che mi aderisce a ogni parte del corpo. Ma ho la strana necessità di sentirmi sola e, se una stanza silenziosa non mi basta per sentirlo appieno, posso percepirlo in una strada piena di gente con cui non ho nulla a che fare. Le risate, il chiacchiericcio allegro… sono tutti suoni che mi alienano e che mi ispirano una grande nostalgia.

Il cambio è stato repentino, talmente tanto che non so individuare una linea netta. A un certo punto il Natale non ha saputo più ispirarmi le sensazioni di un tempo. Forse perché davvero è la festa dei bambini, come si dice, e io bambina non lo sono più da un pezzo. Una volta la festività mi accendeva entusiasmo, quando era ancora lontana, ma adesso, appena vedo gli addobbi e la gente affrettarsi per gli acquisti… non sento nulla dentro di me. Una vuota apatia che si fa largo nel mio petto e più nulla riesce a trasportarmi nella gioia.

Solo scartare qualche regalo inatteso suscita in me qualche interesse. Tutto il resto lo trovo di un inutile imbarazzante, forse anche ipocrita. Ma devo riconoscere, a malincuore, che il problema non è della festa in sé. Il problema è che, per anni, sono stata trascinata a eventi familiari che non avevano suscitato in me alcun interesse e alcun piacere. Andavo a questi incontri con una certa rassegnazione e mi chiudevo in un mutismo che, ormai, non mi compete più. Adesso esplodo, do voce ai miei pensieri. Prima li covavo solo dentro di me.

Una folata di vento mi raggiunge il volto e alzo lo sguardo. La strada si è interrotta per uno spiazzo più largo e il gelido soffio dell’inverno mi risveglia dalle mie riflessioni. Non saprei dire da quanto cammino. Mi volto al suono di una risata rubiconda, vedo appena lo spostarsi pesante e goffo di una ragazza forse ubriaca. Stringe tra le mani inguantate dei braccialetti colorati da spiaggia.

«Ridammeli indietro!» Un’altra ragazza la insegue ancora più pesante, sbiascicando deboli minacce per fermarla.

Vengo investita da una serie di braccialetti lanciati a mo’ di coriandoli che scivolarono via dal cappuccio per il vento. Riprendo a camminare.

Ci vuole così poco per essere felici? O è solo un’illusione, un modo per dimenticare e mettere da parte, mentre tutto va in fumo? Sono ingiusta: alla fine non so nulla sulla vita di quelle ragazze. Eppure giudicare, guardare e vedere il peggio sono tutte cose che non riesco a scrollarmi di dosso. Tutte cose in antitesi al Natale. Forse sto diventando davvero uno di quei parenti odiosi a cui rivolgevo il minimo necessario della parola pur di non sorbire i loro commenti.

Scrollo la testa con fastidio, provo vergogna di quello che ho appena pensato e del mio stesso fastidio. Mi siedo al tavolo di un bar, cercando ristoro in una cioccolata calda. Il calore del locale mi pizzica le dita rattrappite dal freddo e, a malincuore, mi libero dei miei indumenti pesanti: mi sento scoperta e fragile.

Rimango lì, fissa in catalessi.

Sento passivamente una voce, che mi martellava il cervello.

«Certo, sono risultata in graduatoria per poter insegnare a scuola. Non te lo avevo detto? In ogni caso ho perso il treno oggi per ritornare a casa e quindi mi sono dovuta fermare e…»

La voce è stridula, le parole marcate da una cadenza dialettale molto accentuata. Mi riscuoto quando ottengo la tazza calda tra le mani. La assaggio e mi scotto la lingua. Lascio ricadere il cucchiaino, ormai convinta che godrò molto meno della dolce distrazione che mi ero procurata. Solo ora mi accorgo di quanto sia debole e di quanto necessiti di un po’ di zuccheri. Per quanto avevo camminato? Non so nemmeno con quale forza mi sono spinta a sedermi fin lì prima di svenire per strada.

«… che differenza c’è tra rosa bianco-latte, bianco e rosino?»

Che diavolo di domanda è? Mi giro a guardarla di sottecchi.

Mi colpiscono subito le sopracciglia spesse e scure che contrastano con i capelli lisci e sottili biondo cenere, con una ricrescita più scura in evidenza. Occhi nocciola socchiusi, corporatura nascosta da abiti larghi. Potrebbe avere all’incirca l’età dei miei di figli.

Al solo paragone, mi rigiro meditabonda a farmi i fatti miei. La ragazza presto abbandona il locale e rimango sola con la televisione in sottofondo.

Ho sbagliato tutto e non so da dove ricominciare per mettere riparo. Ho delle convinzioni, le avevo avute e mi hanno portato a buttare tutto.

«Sembri proprio una persona che ha bisogno di parlare dei suoi problemi».

Rialzo lo sguardo. Un ragazzo ha preso posto davanti a me, non lo studio nemmeno. Non voglio l’ennesimo scocciatore che fa tutto il gentile per provarci.

«A quante altre donne lo hai già detto?» Parto con una certa aggressività. Mi sento invasa nel mio spazio.

«A nessuna». Un sorriso da schiaffi.

«In ogni caso a tutti piace lagnarsi dei propri problemi, ma a me non piace che ti sia seduto senza invito. E il fastidio vince sul piacere di stare al centro dell’attenzione».

«Come siamo nervosette», e lo odio ancora di più: mi dà fastidio che la mia schiettezza venga presa per nervosismo. Il primo maleducato è stato lui. «Siamo vicini al Natale, potresti quantomeno pensare che una persona faccia un buon gesto».

«Credo nel buon gesto. Non credo nel buon gesto disinteressato».

Per una volta il tizio si sta zitto.

«Te lo dico cosa c’è che non va, comunque.» Iniziai. «C’è che ho una figlia. Una figlia a cui avrei voluto evitare i traumi che ho subito io dai miei genitori: insicurezza, abbandono e, a volte, paura. L’ho condannata alla stessa sorte, perché il mio temperamento era simile al loro, anche se non lo volevo. Sono diventata la protagonista di una qualche tragedia greca che vuole evitare una maledizione, ma se la prende in pieno addosso. E le mie paure si sono riversate addosso a lei. Ogni volta che si avvicinano queste maledette feste sono sola e mi fa schifo tutto quello che ho attorno».

«Beh…» Sentivo dell’imbarazzo. Forse non si aspettava che gli avrei parlato in quel modo, riversandogli addosso tutto l’odio che ho dentro. L’ho guardato dritto negli occhi, quasi non ho sbattuto le palpebre tanto mi sono sentita montare l’agitazione dalle viscere. Ormai sento qualcosa di orribile e incontrollabile strisciare dopo tanta quiete che mi sono imposta.

Il tizio inizia a dire parole a caso, non lo seguo finché una particolare frase mi fa rialzare l’attenzione.

«…potrei alleviare la tua solitudine e…»

Risi. «Proprio non vuoi capire e sai che c’è? Mi chiedo perché me ne stupisco».

Finita la cioccolata, mi pulisco le labbra con il tovagliolo, mi alzo e me ne vado lasciandolo lì, al tavolo. Pago e me ne torno a casa.

Apro la porta e macchio il parquet con le scarpe bagnate. Spargo ogni pezzo per casa: il cappello lanciato sulla panca, la sciarpa sulla sedia, il cappotto sul divano… fino ad arrivare in salotto, un’oscura ombra soffoca la stanza. Accendo le luci e l’albero acquista una presenza non terrificante. Lo guardo, il fiato corto dalla corsa e le guance ancora pizzicate per il caldo della stanza. Mi siedo per terra, con lo sguardo fisso verso la stella sulla punta. Sarebbe umiliante guardare sotto l’albero: nessun regalo, nessun affetto, una casa vuota.

Afferro il telefono, sblocco lo schermo. Potrei chiamare e provare a sistemare la situazione. Mi tremano le mani, non so nemmeno perché mi sono sentita presa, tutto a un tratto, da quella frenesia.

Forse potrei organizzare un Natale all’ultimo, qualcosa di meno artefatto, ma fatto con tutto il cuore possibile. Potrei… Potrei…

L’albero riflette la luce bluastra su ogni decoro, deformando il colore rosso di Babbo Natale.

«Ciao Matilda…»


Creative Commons License

Alice Jane Raynor’s “Lo spirito del Natale” is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License


39 risposte a "The Xmas Carols: lo spirito del Natale"

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  1. L’ha ripubblicato su Centoquarantaduee ha commentato:
    Un racconto molto particolare quello di oggi, quasi introspettivo… Il calendario dell’Avvento ideato da Shio è arrivato alla nona finestrella. Manca poco più di una settimana a Natale e abbiamo ancora da condividere tante belle cose… Vi lascio al blog di Alice Jane Raynor e al suo racconto.

    Piace a 2 people

    1. Più che un regalo fisico, a me fa piacere quando qualcuno si ricorda di me e vuole farmi piacere senza che me ne accorga, i piccoli gesti delle persone a cui voglio bene sono i più preziosi. E mi piace anche molto fare regali ☺️

      "Mi piace"

  2. Ho letto subito questa mattina prima di uscire e dunque ho iniziato la giornata con i pensieri del tuo personaggio in testa perché mi sono rimasti impressi, e questo perché Matilda è vera. Hai descritto uno stato d’animo del tutto sincero, senza sconti, senza filtri.
    Tanti complimenti per il modo in cui scrivi: mi piace molto.

    Piace a 1 persona

  3. Un racconto che va assaporato con lentezza, ci sono tante immagini dentro, c’è un grande tormento dell’anima.
    Bello e malinconico nell’approssimarsi del Natale, perchè non sempre il natale è luci e confusione…
    La tua scrittura è sempre apprezzabile.

    Piace a 1 persona

  4. L’ha ripubblicato su Lividi e Musicae ha commentato:
    Basta poco per sentirsi soli a Natale. Completamente soli. Ogni festa, alla fine, ha un certo grado di ipocrisia, dove le maschere diventano la realtà e il rumore pretende di soppiantare i silenzi. Ma quelli rimangono lì, non si può scappare. Ed è in quel momento che vorremmo avere un posto tutto per noi.

    Un racconto, quello di Alice Jane Raynor, che si fa flusso di coscienza crudo e senza filtri, che abbatte le facili ipocrisie, soprattutto quelle dette a se stessi.

    A domani col prossimo carol.

    Piace a 1 persona

  5. Bel testo. Lo trovo assolutamente aderente alla realtà attuale. Forse io non arriverei nemmeno a organizzare all’ultimo istante. Ma questi pensieri descritti, stanno nella mente di molte persone che di questi tempi, si sforzano di andare avanti malgrado tutto divenga sempre più complesso. Oggi vi è tanta stanchezza in giro.

    Piace a 1 persona

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