Recensione “Vardø. Dopo la tempesta” di Kiran Millwood Hargrave

Vardø. Dopo la tempesta

Copertina di ” Vardø. Dopo la tempesta” della Casa Editrice Neri Pozza

Scheda

Titolo: Vardø. Dopo la tempesta

Titolo originale: The Mercies

Autrice: Kiran Millwood Hargrave

Prima pubblicazione: 28 gennaio 2020

Genere: Fiction storica

Candidature: Prix Femina étranger

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Quarta di Copertina

1617, Norvegia nordorientale. In una funesta vigilia di Natale, il mare a Vardø si è improvvisamente sollevato e una folgore livida ha sferzato il cielo. Quando la tempesta si è acquietata in uno schiocco di dita, così com’era arrivata, le donne si sono raccolte a riva per scrutare l’orizzonte. Degli uomini usciti in barca non vi era, però, nessun segno. Quaranta pescatori, dispersi nelle gelide acque del Mare di Barents.

Alla ventenne Maren Magnusdatter, che ha perso il padre e il fratello nella burrasca, e a tutte le donne di Vardø non resta dunque che un solo compito: mettere a tacere il dolore e cercare di sopravvivere.

Quando l’inverno allenta la presa e le provviste di cibo sono quasi esaurite nelle dispense, le donne non si perdono d’animo: rimettono le barche in mare, riprendono la pesca, tagliano la legna, coltivano i campi, conciano le pelli. Spinte dalla necessità, scoprono che la loro unità può generare ciò che serve per continuare a vivere.

L’equilibrio faticosamente conquistato è destinato, però, a dissolversi il giorno in cui a Vardø mette piede il sovrintendente Absalom Cornet, un fosco e ambiguo personaggio distintosi, in passato, per aver mandato al rogo diverse donne accusate di stregoneria.

Absalom è accompagnato dalla giovane moglie norvegese, Ursa, inesperta della vita e terrorizzata dai modi sbrigativi e autoritari del marito. A Vardø, però, Ursa scorge qualcosa che non ha mai visto prima: donne indipendenti. Absalom, al contrario, vede solo una terra sventurata, abitata dal Maligno. Un luogo ai margini della civiltà, dove la popolazione barbara dei lapponi si mescola liberamente con i bianchi e dove una comunità di sole donne pretende di vivere secondo regole proprie.

Romanzo che trae ispirazione dai processi alle streghe di Vardø del 1620, Vardø. Dopo la tempesta «getta luce su uno spaventoso spaccato di storia, raccontando la brutale sottomissione delle donne, la superstizione che aleggia nei luoghi isolati e le atrocità compiute in nome della religione. Un romanzo davvero potente» (Publishers Weekly).

(Dalla quarta di copertina di Neri Pozza Editore)

Discussione (No Spoiler)

Qualcosa di questo libro non mi convinceva dalla prima volta in cui l’ho visto. Leggendo la quarta di copertina mi sembrava che tutto il discorso fosse già concluso e che non ci fosse un vero motivo per leggerlo. In un certo senso non sbagliavo. Trovo la quarta di copertina italiana abbastanza fuorviante rispetto alla storia effettiva. Ma ci arriverò per gradi evitando gli spoiler.

Penso che il grande punto di forza di questo libro sia la vicenda reale narrata. Non la conoscevo ed è stato molto interessante fare delle ricerche per approfondire la questione. Purtroppo, per me, questo punto di forza è stato anche l’unico del libro.

Ho notato dei chiari problemi di stile o, comunque, di traduzione. Ho trovato delle descrizioni molto precise e minuziose ma, a parte per qualche cibo tipico, non mi sono sentita trasportata nell’ambientazione. Mi chiedo anche come ci possano essere descrizioni tanto dettagliate accompagnate da imbarazzanti sviste a livello storico/culturale.

Non sono un’esperta della storia norvegese, che sia ben chiaro. Ma chi mi conosce sa quanto ami leggere classici e libri di epoche molto lontani dalla nostra. Mi sono ritrovata dei personaggi che ragionano, spesso, in maniera troppo lucida e moderna. Maren è una persona di basso livello sociale, figlia di pescatori. Eppure riesce a fare dei ragionamenti troppo anacronistici sulla religione o sulla caccia alle streghe. Per intenderci, l’ateismo non è nato dal nulla a un certo punto della storia, ma mi stupisce altro. Maren è una donna che deve sopravvivere in un ambiente difficilissimo, ai confini della Norvegia ed è una donna che ha avuto una certa educazione e modo di vedere le cose. Non sto dicendo che sia il modo giusto di pensare ma, anche viaggiando adesso nel mondo, più si vanno in zone retrograde, più è probabile incontrare una mentalità conservatrice. Le eccezioni sono spesso di colti o di persone che hanno viaggiato e visto altro. Per Ursa il ragionamento è analogo. È una persona che ha vissuto sempre in casa, ma mi è risultato strano che non sapesse riconoscere delle prostitute che avevano un modo di vestire e apparire completamente condannato dalla società. Può essere benissimo un mio problema, come il seguente.

Ho trovato nel libro un grosso problema di femminismo. Esso come ideale ha molte anime, personalmente seguo sempre l’idea di movimento paritario per tutti. Il problema del libro è che, a me sembra, voglia spacciarsi assolutamente per femminista. Un esempio è dato da un personaggio che in tutti i modi avverte la protagonista di fare attenzione a come si muove ma è la prima a farsi notare in tutti i modi con atteggiamenti anticonformisti.

I riferimenti sessuali non sono stati di mio gradimento. L’unica scena che ha saputo emozionarmi e coinvolgermi è quella del rogo.

Il libro penso abbia buttato via anche il personaggio di Absalom, l’inquisitore. Descritto a tutti i costi come il “cattivo”, ho sperato fino all’ultimo che svelasse più nettamente alcuni lati del suo carattere che avrebbero potuto rendere il personaggio più a tutto tondo, senza scadere in una macchietta qualsiasi.

Il finale è aperto e inconcludente. A tratti un po’ irrispettoso per una strage, che è servita solo da sfondo per una storia d’amore. Penso che se la quarta fosse stata impostata in modo più veritiero avrei avuto altre prospettive e, di conseguenza, molti dei miei toni sarebbero stati più morbidi.

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