Questa storia è stata scritta durante la live del Circolo di scrittura Raynor’s Hall. Assegnato un tema, si ha solo un quarto d’ora di tempo per scrivere una breve storia. dopo la stesura si leggono le proprie storie in una live. Il tema di questo incontro era “Morte epica”.
Ammetto che, quando ho scritto, non ero proprio in vena. Il tema mi è capitato male, non riuscivo a immaginare nulla di epico.
Avevo sempre pensato alle morti sui campi di battaglie. Sì, quelle gloriose cantate dagli aedi del passato.
Io, che la guerra l’avevo vista, non mi ero trovato d’accordo. Avevo solo visto uomini accasciarsi al suolo prima di capire come fosse successo. E se era glorioso quello, pensavo che, della gloria, gli uomini avevano un pensiero alquanto distorto.
Meglio morire che rimanere menomati? Forse. Ho perso il conto di quanti si siano menomati per fuggire e, se sul momento mi avevano schifato, io li capivo. Con il senno del poi lo avrei fatto anche io.
Sono sopravvissuto, al prezzo di essere un menomato fisico e mentale.
Il giorno declinava, i raggi filtravano sempre più fiochi da quella tenda panna sporca. Ne ero felice. La notte si confaceva meglio ai miei piani.
Ero ricoverato lì ormai da un po’, deambulavo appena in mezzo a una marmaglia di uomini e donne che perdevano sempre più consistenza. Perdevano la loro storia, il loro nome, i loro cari.
Non volevo che la vecchiaia mi raggiungesse, non volevo finire come quegli stinti signori. Avevo trascritto la mia vita e rileggevo pagine ogni giorno. A volte mi stupivo di quello che leggevo: non ricordavo. Lessi di come avevo buttato fuori da casa un uomo che aveva provato a venderci un tosaerba che non funzionava più. Per me, non era vero, aveva del surreale. I Ricordi si mescolavano alle fantasie ma accettavo anche quelli, faceva parte del sentirmi vivo.
Presi le pagine fra le mani, le feci scivolare sotto le dita. Guardavo quella calligrafia scivolare sotto di me e… pagine bianche, pagine bianche. Chiusi il libro. Sospirai e aprii l’ultima.
“Fine. È arrivata la fine, non hai più niente da raccontare in questo squallido posto. Vai in giardino, dissotterra la boccetta e bevila tutta”.
Sì, nel momento in cui non avrei avuto più niente da dire, nessuno da amare mi sarei tolto di mezzo. Non ce la facevo più del malcelato disgusto nei sorrisi delle infermiere; non ce la facevo più di sapere che i miei figli mi avevano rinchiuso lì per prendersi la casa, i soldi, la vita.
Cancellai la frase. Era… troppo dura. Non sapevo se nella nebbia confusa avrei saputo capire l’avvertenza di quelle parole in cui credevo fermamente. Ma che in quel momento…
I giorni passavano. Le uniche gioie erano quei momenti di solitudine dalle terapie, dai pasti, dalle socializzazioni. Scrivevo, ripescando nella mente. Scrivevo, srotolando la vita che avevo vissuto.
Mattina, una bella mattina. Mi lascio aiutare, mi alzo, mi vesto, mangio. Mi porgono un libro. Lo leggo o me lo leggono, non so. Fino all’ultima pagina “Fine. Nel giardino è sepolto un tesoro”.
Quale giardino, quale tesoro?
Meglio socchiudere gli occhi a quella morte che, se non era epica, era almeno abbandonarsi a una stanchezza.
Alice Jane Raynor’s “Morte epica? Forse solo… morte” is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License
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Ti ringrazio per la segnalazione! Piano piano sto sistemando i post del blog per aggiornarli 🙂
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