Questa storia partecipa alla XXXV challenge del Circolo di scrittura creativa Raynor’s Hall. Il tema per questo mese è “Epidemia”, scelto da Marta.
Sono stata indecisa su cosa scrivere fino all’ultimo. Ho avuto molte e nessuna idea, davvero letteralmente. Ho scritto, come al solito, qualcosa di getto. Era l’idea per un racconto un po’ più diverso e molto più ampio, ma ho deciso di iniziare ad abbozzarla. Purtroppo ho dovuto tagliare molti punti. Come sapete, i miei racconti qui sono solo degli abbozzi che poi rielaboro e riscrivo in futuro. Spero comunque che l’idea di base possa piacervi.
Tutti erano in casa. A trascinarsi sul selciato di quel sobborgo, solo pochi monatti. Il tintinnio trascinato della loro presenza, era più lugubre delle campane a morto che, mesi prima, aveva lavorato ininterrottamente. Adesso più niente si sentiva, nemmeno chi moriva. Da quando l’epidemia aveva fatto il suo corso, suonare ogni volta per un morto era diventato un gesto inutile. Non si celebravano benedizioni e i corpi venivano buttati in fosse comuni: i morti erano talmente tanti che era più sbrigativo così.
Era primavera, gli uccellini cantavano ma gli uomini erano rintanati nelle loro abitazioni. A volte da una casa si alzava il suono triste di uno strumento e poi subito taceva.
Fu in uno di quei giorni che gli uomini si sporsero dalle finestre, per capire da dove provenisse quel fracasso. Si meravigliarono alla prima carrozza listata a lutto: la malattia doveva aver colpito qualche ricco, importante signore.
La sfilata fu lunga e rumorosa. Lo sbattere degli zoccoli e delle ruote, lo schiocco pigro delle fruste dei postiglioni. Non si riuscì a scorgere nemmeno un volto dei passeggeri: tutte le tende erano tirate. Quando le quarantasette carrozze sparirono dal villaggio, un solo unico pensiero si puntò nelle menti delle persone:
«A chi tanto e a chi niente. Noi che siamo morti fin ora non abbiamo avuto nessuna considerazione, ora che è un ricco a essere stato colpito, tutto a un tratto, si rendono conto della miseria in cui tutti versiamo e che la ricchezza non può separare».
Il corteo scatenò delle brevi discussioni alle finestre.
«Chi è che è morto tra l’aristocrazia? Cos’ha fatto per meritare di essere ricordato così?»
«L’unica cosa che ha fatto, è quello di essere nato potente. Che vuoi che mi interessi».
Il corteo avanzava lento e inesorabile, come lo era la morte. Nessun’anima incontrarono nel tragitto e quella lunga scia scura entrava in contrasto con la natura fiorita e la vivacità degli animali.
Arrivati al cimitero, i postiglioni scesero di comune accordo e aprirono le carrozze.
Non vi era niente al loro interno.
«Non si è mai vista una cosa del genere. In questo momento poi…» fu il commento sbalordito di un conducente, un giovane sulla trentina.
«Forse hanno voluto solo essere prudenti: dare un omaggio senza però rischiare di diffondere il morbo» fu la risposta di un uomo che per tutto il tragitto aveva parlato in continuazione con i suoi cavalli.
«Avranno avuto paura, ma non penso sia quello. Il Lord non era un uomo molto… amato. È sbucato dal nulla nella società e in poco tempo il mistero che lo circondava fece molto scalpore. Tutti volevano conoscerlo, molti lo invidiavano. E quando si finisce per creare certe… simpatie, è inevitabile non crearsi dei nemici. E i suoi comportamenti turbolenti non lo hanno di certo aiutato a farsi degli amici».
«Sembra quasi tu voglia difenderlo».
«Io? Cosa vuoi mi importi… mi hanno pagato per il lavoro e io lo faccio. Specie perché altrimenti non riuscirei a portare a casa il pane. Per me va bene così. Che seguano pure i loro sciocchi capricci».
Alice Jane Raynor’s “La sfilata” is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License
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Ciao, ho letto questo tuo racconto con piacere. Ho apprezzato molto lo stile e il modo in cui hai sviluppato l’idea. Nella semplicità dei fatti narrati sei riuscita a creare un’atmosfera intrigante.
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Ti ringrazio ^^ spero di approfondirlo in futuro e dare al racconto il giusto spazio!
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Ciao! Molto bella la descrizione, in parte mi ha ricordato la situazione di Bergamo di qualche mese fa. L’unica parte che non ho capito è questa: «A chi tanto e a chi niente. Noi che siamo morti fin ora non abbiamo avuto nessuna considerazione, ora che è un ricco a essere stato colpito, tutto a un tratto, si rendono conto della miseria in cui tutti versiamo e che la ricchezza non può separare». Immagino intendessi, “A coloro di noi che sono morti”, perché a un certo punto ho pensato fossero i morti a parlare e già mi pregustavo un bel botta e risposta tra i morti poveri e il ricco, una volta sepolto anche lui.
La disperazione si sente fortissima, così come anche la rassegnazione. Altra scena che mi ha evocato, è stata quella della moria presente nel Nostradamus del ’79
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Guarda, ammetto di averlo scritto di getto e pubblicato senza pensarci troppo. Come idea di base sono partita solo dal funerale di Byron (l’elemento delle 24 carrozze vuote). Mi piacerebbe ampliarlo di più e magari aggiungere un dialogo tra i morti. Ma vediamo un po’, purtroppo come racconto è anche abbastanza pesante, specie per la situazione attuale
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Eh… temo di saperlo bene ^^°
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