Questa storia partecipa al Club di Aven. Il tema di questo racconto è “Miseria” , scelto da me.
Il Duca Derair è il protagonista del primo romanzo che ho progettato ed è rimasto inedito. Nel bene o nel male è un personaggio a cui sono molto affezionata, per quanto non fosse di certo a tutto tondo.
«Di miseria in miseria va questo mondo».
Questo ciò che era solito dire il Duca Derair, camminando nel piccolo paesino inglese dove si era trasferito in pianta stabile dopo i suoi lunghi viaggi all’estero. La società borghese di quel luogo era ricca, senz’altro, ma gli capitava sempre di gettare l’occhio a quei miserabili che strisciavano nel fango. Dedicava alle opere di beneficenza la maggior parte delle sue energie e, se prima aveva destato un certo stupore nella classe adagiata per la sua generosità, adesso faceva nascere una certa invidia. Invidia per le sue risorse ingenti che nessuno riusciva a portare dalla sua parte, dato che il Duca non sembrava per niente intenzionato a prendere moglie. Così ora alcune madri, offese di vedere le proprie figlie respinte, avevano iniziato a sparlare di quanto grande fosse la sua ipocrisia.
«Chissà quali crimini dovrà mai espiare per spendere così la sua fortuna». Aveva detto Mrs Cassell alla sua amica, proprio nel momento in cui Derair camminava per la città come una qualsiasi persona del volgo.
«Se non ci sono crimini, sicuramente la sua superbia nel sperperare in quel modo il denaro è un crimine sufficiente». Aveva ribattuto la sua interlocutrice.
Delle chiacchiere il Duca Derair ne conosceva a iosa e, per quanto lo ferissero, spesso le ascoltava sorridendo. E quando capitava che camminasse, come in quel momento, continuava a sorridere, perso nei suoi pensieri.
Nonostante fossero lontani da Londra, anche lì una bambina cenciosa porgeva i suoi fiori. Fiori di campo e fiori appassiti, forse raccolti quando ormai erano stati buttati. Stava lì, ignorata da tutti i passanti e lei si avvicinava a loro, tendendo le manine ossute che stringevano il modesto bouquet. Derair, quando le si avvicinò, le porse una moneta e se ne andò. La bambina lo seguiva, tendendo ancora il mazzetto di fiori e solo per farla felice, il Duca prese i fiori e sorrise, se ne appuntò uno sul petto e riprese la sua strada.
«Di miseria in miseria va questo mondo. Tutti ne sono appestati e tutti sono ciechi al loro dolore, senza badare a quello degli altri. Faticano gli alti a simulare la vita perfetta, i bassi non possono nascondere i loro volti pieni di lacrime. E io non trovo nessuno con cui posso confidarmi perché a lungo mi tocca mantenere il segreto, sì, e non mi è concesso parlarne senza cadere da ogni considerazione. Mi piacerebbe parlare con queste persone che soffrono, che combattono per arrivare alla fine della giornata eppure la mia curiosità verrebbe malvista come cattiveria e il mio grado non mi permette di avvicinarmi a loro senza creare una barriera. Sono condannato da entrambe le infelicità. L’infelicità di essere misero e l’infelicità di chi è agiato e ha studiato, che vede nella vita le cose effimere e senza forma che la popolano e che provocano il piacere dei sensi per molti. Quella bambina è fortunata, perché non vede falsità. Ma è tanto misera da vedere chissà quale cruda realtà: magari il padre violento e ubriaco e la madre che si prostituisce. Io cerco l’uomo che possa essere felice e, se non lo trovo, spero di poter essere l’uomo che fa felice».
Alice Jane Raynor’s “Di miseria in miseria va questo mondo” is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License
Rispondi