Parole immortali, vite di pietra

Questa storia partecipa al Club di Aven. Il tema di questo racconto è “E se una notte d’inverno, un viaggiatore…” , scelto da Aven.

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Racconto un po’ diverso, scritto e pensato (come al solito >.> perdonatemi, ultimamente va così) di getto. Spero che comunque possa risultare interessante. Ovviamente, come tutti gli altri racconti, lo aggiusterò, amplierò e rivedrò in seguito. E’ abbastanza poco omogeneo ma ci tenevo a partecipare e non ho molta testa per pensare a una soluzione >.<


E se una notte d’inverno un viaggiatore, vagando per la brughiera non trovasse più l’uscita?

Di certo il lettore potrebbe pensare sia una situazione spiacevole. La notte è la culla dei nascondigli e l’inverno freddo spesso impedisce di procedere a proprio agio. Eppure la brughiera è un luogo brullo, dove si dovrebbe trovare subito la via d’uscita anche se alcuna luce rischiari la via.

Magari quelli che ancora custodiscono un cuore di bambino potrebbero pensare a un luogo magico. Nessun incantesimo gravava sulle spalle del viandante. Egli non trovava l’uscita per sua unica volontà.

Ma come? Che il testo mi abbia ingannato? Si parlava di non trovare l’uscita, non di una permanenza voluta.

A volte le due cose possono coesistere senza che vi sia contraddizione. Pensate a una condizione drastica, come potrebbero esserlo l’amore e la morte. Potrebbe esserci una fine ma non tutti potrebbero essere disposti ad accettarlo. E così era la situazione del nostro protagonista.

«Questa non è la selva oscura: avrei già trovato i versi di Dante per salire fino al cospetto di Dio. Neanche un labirinto di Tasso. Ma poi sono sicuro di star seguendo tutt’altre parole. Magari Sartre o Camus e poi tutto a un tratto mi sono perso. E ora tutto intorno a me è arido».

Scalpicciava sull’erba secca e quello era l’unico suono che si sentiva nella notte. Era solo. Anche la vegetazione lì sembrava morta, nell’oscurità della notte e nel freddo dell’inverno.

«Quelle parole immortali che nutrono il mio essere io… non le trovo più. Le ho perdute. Trovo altri filoni che mi scivolano dalle dita: non mi interessano. Solo loro valgono la pena di essere trovate e di fare il viaggio con loro. Tutto il resto non ha senso».

Il viaggiatore si era fermato. È una brutta cosa quando il viaggiatore si ferma, vi consiglio di viaggiare sempre. Il paesaggio intorno a lui si deformava e i lembi dell’orizzonte venivano risucchiato. Alzò la testa, per non vedere anche il suo corpo che partecipava alla trasformazione. Si raggrinziva, iniziava a dolore ogni parte del corpo e i capelli si ingrigivano.

Ogni volta che un viaggiatore smetteva di avventurarsi in nuovi luoghi, ecco che spariva e tutto il suo viaggio si concludeva in un nulla di fatto. Lo spazio si restringeva sempre di più, presto non sarebbe rimasto più niente.

Continuò a rimanere immobile finché non diventò di pietra e, sopraggiunta l’oscurità, si disintegrò.

Altri viaggiatori continuano il loro errare, lasciando che le parole che leggono non siano fatte solo di immortalità ma di sentimenti. Ecco che si protendono ad ascoltare e fare in modo che nella loro vita fluiscano quelle parole e si incarnino, come il suo spirito di viaggiatore si incarna nelle parole di quelle persone che un po’ vivono in chi li legge.


Creative Commons License

Alice Jane Raynor’s “Parole immortali, vite di pietra” is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License


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4 risposte a "Parole immortali, vite di pietra"

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