La regina del deserto

La regina del deserto

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Questa storia partecipa alla ventunesima challenge del Circolo di scrittura creativa Raynor’s Hall. Il tema estratto per questo mese è stato “Regina” proposto da me.

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La barca scivolava sulle acque del fiume. Oltre allo sciabordio delle onde si sentiva solo il rumore del vento. Al centro della nave c’era una stanza con i muri di veli e su un triclinio era distesa una figura femminile con una tiara sulla testa. Aveva gli occhi socchiusi e gustava un frutto succoso e dissetante che combatteva la calura di quella terra desertica.

Naafiah era diventata regina solo sposando suo fratello minore. Fin dalla prima giovinezza, il re aveva piaceri molto discutibili. Importunava spesso i gatti, rappresentazione in terra della dea Bayan, e spesso durante le celebrazioni aveva insultato il dio Riyadh, il dio-malato che aveva preso su di sé i morbi per preservare l’umanità. Il popolo era superstizioso e aveva presto iniziato a disprezzare il re. A peggiorare la situazione erano arrivate le piaghe dal cielo. La dea Bayan aveva fatto sparire i gatti e ora i topi correvano per il paese e il dio Riyadh aveva scatenato una terribile malattia, che stroncava le persone come se fossero colpite da un fulmine. Ma l’empietà del re non si era fermata e aveva iniziato a bestemmiare tutte le divinità. Racchiuso nelle sue mura di pietre preziose, rideva delle disgrazie che toccavano al suo popolo. Allora gli dei avevano bruciato i campi e avvelenato le acque. Avevano abbandonato i loro protetti e avevano fatto posare gli occhi del regno vicino sulla loro debolezza, invitandoli a sterminare il loro popolo. Naafiah ancora ricordava quei momenti con terrore. Un giorno era uscita nella sua portantina e il popolo era insorto contro di lei. Lei che nel recinto sacro di Bayan accudiva i gatti e che offriva il suo denaro e il suo aiuto nella casa di Riyadh, dove andavano i morenti e i malati. Era sfuggita alla rabbia del suo popolo, nascondendo le lacrime. Portò una mano sul viso, accarezzando la cicatrice che le avevano lasciato delle pietre che le avevano scagliato  contro. Era stato in quel momento che si era svegliata dal suo sogno di fanciulla. Aveva sposato suo fratello non solo perché era la sua sorella maggiore ma anche perché lei non voleva finire al bordo della storia: desiderava essere una regina. Un po’ per vanità e un po’ per desiderio di prevalere sul maschio. Il suo consorte se era insensibile contro le divinità, era crudele con lei. Era stata sottoposta a ogni tipo di umiliazione.

Era stato quello il momento in cui aveva deciso, con l’aiuto degli dei, di uccidere il marito. Era stato abbastanza semplice. Con tutte le malattie che percorrevano il paese, il veleno poteva essere scambiato per chissà quale male, con la giusta paga. E la regina si era privata di una prezioso bracciale d’oro massiccio per corrompere il medico. Dopo l’annuncio della morte del re e l’accertamento della sua fine, aveva dovuto far uccidere lui da uno dei suoi sicari, per comprare per sempre il suo silenzio. Così riottenne anche il bracciale indietro. Liberata dal tiranno, le si era impresso sul volto un sorriso che non le si era mai visto prima. La sua bellezza era leggendaria, aveva sempre potuto permettersi di curare il suo corpo, e con quel nuovo elemento il suo fascino era irresistibile. Qualsiasi uomo cadeva ai suoi piedi, di paesi vicini e lontani. Lei li aveva corteggiati tutti, aveva ceduto anche alle loro lusinghe ma non aveva permesso a nessuno di salire sul suo stesso grado. Dopotutto non sapeva se parte del suo fascino derivava anche dal potere che possedeva. Le era bastato un marito: non ne desiderava altri. E di discendenti ne aveva fin troppi: aveva molti fratelli e sorelle che avrebbero voluto essere al suo posto. Aspettavano come avvoltoi la sua fine per mangiare le sue carni e strapparle la corona. Ma finché era viva, cos’aveva da preoccuparsi? Poteva trattarli come più preferiva ed era sicura che la loro vendetta non sarebbe mai stata appagante come il suo divertimento in terra.

Aveva ereditato un regno difficile. Era in crisi e sull’orlo di una guerra, civile ed esterna. Aveva fatto il possibile. Si era dedita a riforme e agevolazioni, investendo parte anche del patrimonio personale. Le cose avevano iniziato ad aggiustarsi ma il popolo aveva sempre un occhio di sospetto nei suoi confronti. Si mormorava che fosse lei ad aver ucciso il marito anche se con fantasie così evidenti che era probabile che fosse solo una loro malignità. Presto aveva smesso di sacrificarsi per il suo popolo: non ne valeva la pena. Nella memoria del suo popolo, suo marito era diventato una divinità e lei era un’usurpatrice lussuriosa, che non meritava di esistere. Si stancavano di prendere gli ordini da lei. Si pensava che una donna al potere fosse simbolo di una potenza alla deriva. Imputavano ormai persino a lei tutte le disgrazie che erano accadute. Era stanca del ruolo di benefattrice e aveva preso le spoglie della tiranna, dando ragione infine alle loro dicerie. Ma era stato inutile lottare. Si sarebbe goduta la poca vita che le restava. Sentiva che non sarebbe resistita ancora a lungo. Il popolo continuava rivolte senza fine e più aveva provato ad accontentarli, più aveva sentito la loro avidità. Lei non andava bene per il ruolo, per quanto facesse del suo meglio.

Si era allontanata dalla capitale, cercando di godere degli ultimi attimi di pace che le erano concessi. Era questo che avrebbe lasciato alla storia? Avrebbe lasciato il suo nome infangato da stranieri e concittadini che la dipingevano come la peggiore delle puttane e la più dispotica e capricciosa dei regnanti. Non poteva obbligarli a scrivere di lei in modo diverso eppure… eppure… che fosse davvero a questo punto come la dipingevano?

Si accigliò pensosa, alzandosi. I veli accarezzavano il pavimento di legno pregiato e giunse fuori, alla luce del sole. Guardava il panorama e l’acqua, stando in silenzio. Non sentiva nemmeno la presenza dei suoi schiavi: era alienata da tutto. Forse sarebbe dovuta andarsene con dignità. Avrebbe dovuto lasciarsi affogare dalle acque del suo amato regno e avrebbe potuto ricongiungersi in quel modo agli dei. Sperava che loro non l’avrebbero abbandonata. Era una regina di nome e di fatto ma le mancava il calore del suo popolo. Non aveva una vita: aveva solo loro. Era una madre che era stata ripudiata dai figli. In fondo le faceva male il cuore.

Guardò ancora le acque.

Quello sarebbe potuto essere il suo ultimo supremo gesto. Ma cosa sarebbe stato di lei? Non ne avrebbero avuto compassione e non l’avrebbero compresa. Sarebbe stata solo una vigliacca: quello che una donna poteva essere. Avrebbe dovuto vivere fino all’ultimo giorno, portando con sé il dolore fino all’ultimo istante?

Guardò ancora le acque.


Creative Commons License

Alice Jane Raynor’s “La regina del deserto” is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License

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17 risposte a "La regina del deserto"

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  1. Qualcosa mi dice che Cleopatra ti ha ispirato XD Molto bello e hai abbandonato un po’ il tuo stile solito, ma lo trovo molto fluido. Il finale poi mi ha ricordato molto quelli aperti tipici di fine ottocento, inizio novecento. Si butterà o no, alla fine?

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    1. XD come mi conosci. Sì pensavo a Cleopatra e mi era venuto in mente di metterci in mezzo anche Semiramide, poi ho lasciato perdere. Sono contenta anche che abbia apprezzato lo stile (anche se sempre di getto ho scritto), il finale sì è ripreso da quelli di inizio novecento. Mi sto appassionando alla letteratura moderna ^^

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  2. Questa volta mi sa che non riesco a partecipare alla challenge per vari motivi, però voglio comunque leggere i racconti. La tua storia mi è piaciuta moltissimo! Ho apprezzato soprattutto l’ambientazione e il finale lasciato nel dubbio. La regina Naafiah ha una personalità intrigante, ho simpatizzato subito per lei e mi ha infastidito la volubilità del popolo che prima colpevolizza un suddito e poi l’altro. Insomma, un racconto avvincente ed emozionante. 🙂

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  3. Finalmente sono riuscita a passare per leggere il tuo racconto che trovo molto coinvolgente. Un po’ triste, ma cosa vuoi, anche vero. Tante volte, anche se cerchi di fare del bene, le persone vedono solo quello che vogliono vedere…
    Complimenti, come sempre bravissima ^_^

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