Recensione su “Repulsione” di Roman Polański
Informazioni Generali
Titolo: Repulsione
Regia: Roman Polański
Genere: Orrore, Thriller
Anno: 1965
Durata: 104 minuti
Interpreti
- Carole Ledoux: Catherine Deneuve
- Michael: Ian Hendry
- Colin: John Fraser
- Hélène Ledoux: Yvonne Furneaux
- Padrone di casa: Patrick Wymark
- Miss Balch: Renee Houston
Trama
Carol lavora in un centro di bellezza e vive insieme alla sorella Hélène. Carol è androfoba, al punto di comportarsi in modo strano con un uomo che cerca di corteggiarla. Ma soprattutto non riesce a rassegnarsi alla presenza dell’amante della sorella in casa, così cerca di sbarazzarsi dei suoi oggetti. Quando la sorella e l’amante partono in viaggio, Carol cade a precipizio nella sua paura, fino a farla vivere in un mondo allucinato di sua invenzione.
Considerazioni Personali
Polański è un regista che sa sempre stupirmi e anche questo film non è stato da meno, anzi. Repulsione è un film molto crudo da vedere: ha una tematica molto forte. Carol, oltre a essere androfoba, è anche sessuofoba. Tutta la sua vita pare richiamare la sua fobia. Al lavoro i pettegolezzi delle signore vertono spesso sul tradimento degli uomini, mentre cammina viene vista con sguardi lascivi e riceve anche commenti provocatori per la sua bellezza e persino l’amante della sorella ha qualcosa che non va: è un uomo sposato. Durante la notte, nel suo appartamento, sente i due fare l’amore e si volta sempre a guardare fuori dalla finestra, dove può vedere delle suore di clausura. L’immagine torna spesso nel film. È un mondo puro ma a cui Carol non riesce mai ad avvicinarsi, forse non pensa nemmeno di farlo, ma la sua vita sembra scandita da quella presenza incombente. Quando ho visto il film, ho pensato subito a una frase “la vita nel Medioevo era scandita da un unico orologio: quello delle campane e delle preghiere”: le suore sono sempre lì a scandire il tempo.
In un mondo dove la donna si ritrova ancora, purtroppo, vittima di certi comportamenti, la reazione di Carol è inizialmente comprensibile. La donna è ancora educata secondo un principio: quello di avere paura e di non “provocare” l’uomo; nella maggior parte degli stupri la colpa è della donna che non ha saputo comportarsi. Carol è una bella donna ma pare una bambola: non parla quasi mai e sembra sospesa in un’altra dimensione. Sembra allucinata ancora prima di esserlo. Lo squilibrio psicologico è solo una conseguenza di un’educazione volta alla paura verso l’uomo e verso il sesso. Nella solitudine, Carol macina questi pensieri e si ritrova ingabbiata in una situazione dove teme di essere toccata, disturbata, violentata. Carol è carnefice perché lei si sente vittima. Vittima di cause esteriori (Colin) e interiori (il proprietario di caso) alla persona in questione, però all’osservatore ha tutto un senso. Un senso malato, ma con un senso. È un film capace di creare una grande angoscia e di far riflettere. L’idea delle scene e come sono state girate è a dir poco magistrale: mi è piaciuto molto. Di solito non mi soffermo su questo particolare, non perché non mi piaccia, ma perché sono poco esperta e da un punto di vista meramente tecnico posso parlare poco. La realtà si confonde al sogno, tant’è che all’inizio non sai cosa sia veramente. Hai il fiato sospeso con Carol, condividi, per dei momenti, parti della sua stessa paura. Alla fine è il sogno ad avere prevalenza sulla realtà e quest’ultima pare perdere persino importanza.
Vi lascio la scena iniziale!
Link di approfondimenti
- Recensione su “L’inquilino del terzo piano” di Roman Polański
- Recensione su “La Venere in Pelliccia” di Roman Polański
Non conosco il film di cui parli; a dirla tutta, se non di nome, non conosco proprio il regista di cui parli; grazie, comunque per avermelo fatto “conoscere” un po’ qui. 😉
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Se ti senti dell’umore giusto (difficile con Polanski ma non ci provo xD) ti consiglio “l’inquilino del terzo piano”.
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Grazie Alice. 😉
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