Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima – Leopardi

Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima – Leopardi

Sala12RaffaelloColore[1]

Consiglio a tutti di prendere visione del testo a cui mi sto riferendo e di leggere anche “La carogna” di Baudelaire, dato che farò un paragone abbastanza dettagliato più avanti.

Ricollegandosi alla tradizione sepolcrale del Nord Europa, la poesia si presenta come un canto di rimpianto e di malinconia della bellezza e della giovinezza, che vengono cancellate dalla morte. Vengono rese grottesche come si può ben capire da “sozzo a vedere, abominoso, abbietto divien quel che fu dianzi quasi angelico aspetto”.

Nella prima strofa si lascia spazio al momento lirico della descrizione della bella donna. Essa appare molto generica: potrebbe accostarsi a qualsiasi donna. E’ come se non volesse rivolgersi alla donna sepolta nello specifico ma voglia estendere la poesia da riflessione specifica a un concetto più puro e astratto. La bellezza è già smentita in questa strofa con brevi rimandi, posizionati all’inizio e alla fine della descrizione lirica, come per dare un primo avvertimento e poi ribadire il tutto, distogliendo l’attenzione dall’immagine presentata fin ora e restituendo la realtà cruda.

Nella seconda strofa viene espanso il tema della caducità e di come il fato riduca quella che per noi mortali sembra una bellezza ultraterrena che darebbe speranza alla sorte mortale. Alla morte tutto perde significato e anche l’illusione diventa grottesca, tanto che la mente si disillude sull’eternità della bellezza. Tutto appare come le foglie di Mimnermo, che cadono in fretta e nell’apice della bellezza sembrano non poter mai sparire, tanto sono forti.

Nella terza strofa vi è un rivagheggiamento. La mente, messa di fronte alla realtà, prova la necessità di perdersi nell’infinito (“vago pensiere”, “mar delizioso, arcano erra lo spirito umano”)  e di rimembrare quello che aveva visto, quando un’immagine discorde all’armonia distrugge il momento e si realizza l’impossibilità di tornare al passato.

Nell’ultima strofa è contenuta la riflessione sul momento lirico e ci si chiede come il corpo, se fragile, possa sentire sentimenti tanto forti e come pensieri così nobili possono essere messi a tacere da una causa così infima. Il tema principale è sicuramente la caducità della bellezza e di tutte le illusioni umane che si infrangono per ragioni tanto più basse di loro.

Nel testo domina un momento lirico tanto da assomigliare a uno dei lieder di Schubert. Questo andamento occupa le tre strofe della poesia e solo nell’ultima il poeta dona la chiave di lettura a tutto il testo. Il momento lirico va a descrivere l’illusione della bellezza e del ricordo: la poesia pare quasi riprodurre la reazione della mente umana davanti alla bellezza; fino a infrangersi nella quarta strofa. Seguiamo poi il dileguarsi della mente e l’impossibilità di comprendere il mistero eterno.

L’ultima strofa è particolarmente interessante e si conclude con una serie di domande che non possono avere risposta, riferendosi ad altro rispetto all’uomo. Il poeta indaga sulla interiorità ed esteriorità della natura umana e si chiede come sia possibile che, creata da materiale “vile”, possa provare qualcosa di tanto più elevato. Se è capace però di provare pensieri tanto nobili, essi sono tanto fragili da spegnersi per ragioni ben più basse? Sono domande a cui non è possibile avere risposta ed è il poeta stesso a fermarsi e a bloccare la riflessione. Da questa strofa possiamo dedurre come il poeta sia fortemente disilluso e come il tema quasi elegiaco rifletta la caducità del mondo e la stessa natura umana di cui non siamo a conoscenza: il poeta, come tutti noi, non riesce a spiegarsela.

Quello che sembrerebbe darci speranza e potrebbe rincuorarci invece ci stronca per la realtà orrida. Eppure il poeta non sottolinea mai il macabro di tutto e rimane sul vago, con vari cenni, senza però voler abbattere completamente il lettore soffermandosi su visioni troppo due.

Questo, per esempio, non avviene in “La Carogna” di Baudelaire in cui, su uno stesso tema sepolcrale, si sofferma più sull’immagine della morte che su quella della bellezza. Quest’ultima viene quasi derisa, si estende una sorte di concezione che renderà tutti gli uomini uguali nella morte. Non si tratta nemmeno di Foscolo, che contempla l’uguaglianza della morte con le tombe ma Baudelaire tratta quest’uguaglianza con il corpo stesso, soggetto a un unico destino.

In questo componimento sepolcrale, il poeta si ferma alla pietra che nasconde “la vista vituperosa” e non osa immaginare oltre. Baudelaire invece ci mostra una donna baciata dai vermi, corrosa dalla morte, che non può più trattenere questa illusione, tanto che la “regina delle grazie” sarà simile a qualsiasi altro corpo sepolto.

Il corpo della donna qui si distingue per la dolcezza e soprattutto per la capacità di donare piacere e amore a chiunque solo contempli il suo sguardo, le sue labbra e la sua mano. Questa descrizione appartiene a qualsiasi donna, ha la funzione di creare un’immagine vaga che tutti possono accostare al proprio ideale di bella donna. Parla quindi del concetto astratto di bellezza che deve essere capace di farsi amare. La descrizione serve a creare un contrasto tra un aspetto idealizzato e la realtà dura che porta l’uomo a rassegnarsi e a disilludersi completamente.

Il tema della bellezza si collega alla caducità e di come questi due aspetti sono confinanti, antitetici e di come la morte possa distruggere l’altra ed eliminare ogni speranza, fino a cancellare la felicità.

Al confronto del ciclo di Aspasia, scritto sempre negli stessi anni, notiamo l’uguale disillusione triste e amara, l’una della bellezza e l’altra dell’amore. Mai come prima l’illusione era stata tanto negata e messa al bando. Vi è però anche un ritorno alla poetica precedente per esempio per l’articolazione delle frasi, anche se si mantiene un linguaggio più semplice e meno sentenzioso. Nella terza strofa vi è anche un ritorno alla rimembranza e vi sono vari riferimenti alla poetica del vago e dell’indefinito. Si può parlare del lessico del non ritorno: il destino implacabile non permette nessuna speranza e tutto ricade nell’impossibilità di aggrapparsi alle illusioni. Giunti a un punto di rottura è impossibile ritornare all’unità e in tutto il discorso continuano ad aleggiare due domande.

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