«Vedo Dmitrj» disse Haydée «lì, accasciato per terra, la testa chinata sulle ginocchia e nascosta tra le braccia conserte, come un fiore che nasconde le sue grazie. Sono ferma, questa volta non scappo più. L’ira si sbollisce: non mi sento più braccata. Sento un profondo affetto; forse più compassione che amore. Eppure sono attratta da lui, come le onde si avvicinano alla terra. Gravito attorno a lui, mi avvicino e mi allontano titubante. Non ricordo nemmeno il suo volto, non importa: saprò amarlo. Non ricordo la sua voce: saprò tremare quando mi chiamerà per nome. So il suo nome, ma non l’ho mai pronunciato in sua presenza, né per rifiutarlo né per amarlo. Le labbra rabbrividiscono a rivolgerglisi, ma non so se sia per ciò che si chiama amore. Non so se l’amo dopo averlo scacciato e aver visto la sua disperazione. Forse in fondo, quando lo avevo visto, quando gli avevo sorriso e mi ero sentita al sicuro, prima ancora che l’orgoglio mi spingesse a scappare, lo avevo amato. Lo avevo amato per istinto, senza nemmeno saperlo e rifiutandolo per orgoglio, oppure mi sono convinta di amarlo a forza di pensarlo? Non so se sia verità o illusione, so solo che amo l’amore. So solo che ho paura di essere sfiorata, di tremare per sentimento, per me è una debolezza. Ma so anche che lo desidero intimamente: il mio respiro è un sospiro. Spero che qualcuno mi abbracci, che io possa reclinare la testa sul suo petto per piangere dolcemente ed essere davvero me stessa».
«Chi viene a turbare il mio silenzio?» domandò Dmitrj «Lo spettro di un passato che ho già dimenticato, la fiamma di un’antica passione che ho soffocato. O almeno che credevo di aver fatto. A sentirla sfiorare il mio braccio, a sentire la sua voce qualcosa in me si risveglia. Forse è il piacere di essere amato, piuttosto che di amare. Non l’ho dimenticata ma non capisco prima il suo rifiuto e poi il suo interesse. Che si prenda solo gioco di me? Ma ha lo sguardo assorto, gli occhi chini, lo sguardo onesto, il sorriso imbarazzato. Vedo in lei una bambina, forse non ancora una donna, anche se nel suo volto risplende una saggezza ricca di secoli. È forse amore? La assecondo, mi cullo in una illusione, sapendo di non poterla ricambiare, non con questi pensieri che galoppano come emioni nella mia mente. Dopo averla fatta sorseggiare dalla sorgente dell’amore, mi ritiro spaventato. Non ho il coraggio di domare quella furia selvaggia, vi è qualcosa nel suo spirito di fiamme che mi turba. Divento sordo ai suoi richiami, cieco alla sua vista, inesistente alla sua presenza: non so che dire. Non so che dire perché forse nemmeno io so cosa voglio. Forse fino in fondo non ho il coraggio di amare perché ho paura di essere deluso. Mi seppellisco nel silenzio, mi chiudo in un sarcofago e mi calo nella tomba: non importa il pianto di Haydée che non sa io sia un morto vivente».
«Urlo come le Erinni dai capelli sconvolti» disse Haydée «urlo nel mio animo senza emettere alcun suono: devo nascondere al mondo la mia sofferenza. Gli ho donato la mia fiducia e il mio sorriso, lui li ha disprezzati senza rendersene conto; gli ho nascosto il mio amore che non era falso. Gli ho dato il mio appoggio, l’ho reso sempre libero, cos’è che impedisce a lui di amarmi? È forse il mio aspetto, il mio carattere? Non v’è niente in me di attraente dopo la prima impressione? Forse devo essere davvero disprezzata, odiata, rifiutata. Forse vi è in me qualcosa di alterato che non può piacere. Forse sono destinata a essere sola. Felice chi dalla sofferenza sa trarne poesia, per incoronare la propria malinconia con bellezza».
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