La Leggenda della Vergine nella Torre
Questa storia partecipa alla quattordicesima sfida del circolo di scrittura creativa Raynor’s Hall. Il tema estratto per questo mese è stato “Dannazione” proposto da Kamy
Ormai da anni serpeggiava la storia della principessa Niniel per tutto il regno. Si narrava fosse una donna affascinante ed era stata rinchiusa dal padre in una torre che si ergeva in un villaggio perso nei boschi. Non si sapeva il perché della reclusione e le leggende fiorivano attorno a quella figura misteriosa che si raccontava avesse i capelli come raggi del sole al tramonto e le gote come spicchi di luna. Tutti avevano paura di indugiare con lo sguardo sull’alta finestra che, come una ferita, squarciava la pietra. Ma il terrore non frenava i loro occhi alla curiosità e all’attrazione verso il proibito. Non si avvertiva alcun rumore all’interno: non vi era alcun segno di vita. A volte l’edera che ricopriva l’apertura pareva muoversi senza vento e nella notte si alzava un canto che si univa all’ululato dei lupi e al bubbolare dei gufi. Si diceva anche che una strana donna rapisse i primogeniti maschi per condurli nel bosco o che ancora facesse piangere le giovani spose che attendevano il marito. Che queste superstizioni fossero vere o false, erano radicate nella mentalità del regno e soprattutto del piccolo villaggio che vedeva l’ombra della torre incombere sulle loro vite.
Una vergine c’era nella torre e il suo bell’aspetto confinava talmente con il selvaggio che, se la natura avesse avuto una personificazione umana, lei ne sarebbe stata la reincarnazione. Trascorreva il tempo leggendo, imparando, disegnando e ogni sorta di attività che potesse distoglierla dalla solitudine. Era una giovane straripante di sapere e conoscenza che, senza alcuna presenza umana a farle compagnia, non aveva alcuno scopo nella sua vita; era una donna che conosceva solo sui libri i sentimenti e la sua reclusione l’aveva privata del comune affetto per donarle un’empatia diversa con il mondo: era una bella orchidea non colta. Era un vaso di Pandora da non aprire, ma non aveva nulla per cui vivere e il suo volto era spesso triste. Si riempiva di sentimenti che non poteva provare, si gonfiava di un sapere che non poteva condividere e rimaneva chiusa nella sua solitudine, non riuscendo a capire neanche chi lei fosse perché le sue esperienze erano date da carta ma non da calore: il suo ingegno rimaneva astratto.
Sempre più spesso, sfidando i divieti e le punizioni di una mano misteriosa, si sporgeva a quella finestra, unico contatto con il mondo. Osservava il paese tranquillo muoversi sotto gli occhi e aveva imparato a trattare i volti conosciuti come se fossero vecchi amici. Parlava loro da lontano, studiando i caratteri e cercando di capire cosa potessero fare quel giorno. Aveva dato loro dei nomi, credeva che anche loro la amassero. A volte, quando si allontanava dall’apertura, immaginava che le parlassero, le rivolgessero parole gentili e che tutti le volessero bene: si sentiva amata al solo pensiero che qualcuno potesse amarla. Ma non giunse l’autunno di quelle trasgressioni, che già aveva sorpassato la soglia dell’amicizia.
Vi era un giovinetto che aveva iniziato a pattugliare le vie. Era un giovane ufficiale, l’uniforme rossa risplendeva sul suo fisico atletico e il suo bel volto faceva spesso voltare con timidezza le giovani fanciulle. L’uomo rivolgeva a loro scherzi e battute, lentamente Niniel capì di essere gelosa di quelle attenzioni che avrebbe voluto fossero dedicate a lei. Vedeva però che rifiutava tutte e dopo poco tempo, ritornava a essere libero come il vento: non lo aveva mai visto baciarsi con una donna, né camminarle a fianco. Rileggeva sempre più spesso frasi d’amore e si bagnava le labbra di quelle romanticherie che sperava lui le avrebbe dedicato. Era convinta che l’uomo non potesse legarsi a nessuna se non a lei, lo sapeva e dopo la gelosia trionfava l’orgoglio, perché nessuno aveva potuto rubarle l’uomo che il destino le aveva riservato. A volte pareva dimenticarsi che lui non la conosceva affatto e la sua era un’illusione con cui trascorrevano più velocemente le ore di prigionia.
Più volava il tempo e più la fiamma divampava: per lei la storia d’amore era già schizzata verso gli astri più alti. Lei era stata corteggiata, amata, cullata e baciata da un fantasma. Sempre più spesso la giovane di notte aveva preso a cantare e lo chiamava “il suo Spurinna”, ammiccando malevola verso quelle donne che, come le etrusche, avevano poggiato gli occhi addosso all’Adone: lei non avrebbe permesso che il suo bell’uomo si sfregiasse il volto. Era lei però a torturarsi spesso le mani, i capelli, le guance e si abbracciava, si graffiava come per avere la sensazione corporea che lui fosse lì e con il dolore o la dolcezza cercava di avvertire la sua presenza fisica. Prese a chiamarlo con più insistenza, sperando che prima o poi apparisse. Il suo sogno si andava incrinando sempre di più, la realtà si mostrava sempre più cruda e il suo canto si trasformò in grida distorte di dolore. Le urla lancinanti facevano piangere i bambini e il villaggio era diventato più scuro, sospettoso e l’allegra vita che fino a quel momento si era svolta, parve ingrigirsi.
Il villaggio si radunava lontano dalla torre ed erano sempre più determinati a trafiggere non più la principessa Niniel, ma il mostro che ne aveva preso il posto secondo le voci. Il congresso occupò notti e giorni, fino a quando si decise di spedire proprio quel valoroso Spurinna.
Niniel cantava a perdifiato, atteggiandosi come se fosse una donna tradita e delusa da un amore che l’aveva logorata. Abbassò lo sguardo e lo vide profilarsi sul sentiero notturno: si dirigeva verso di lei, non vi era alcun dubbio. Il suo cuore si infranse dalla gioia, il sogno, che non riusciva a distinguere dalla realtà, diventò definitivamente reale per il suo cuore malato d’affetto. Si allontanò precipitosamente, inciampò sul bordo del letto ma continuò imperterrita a raggiungere lo specchio. Controllò il suo aspetto, come una bimba alle prese con il primo amore e cercò di curarsi come più poteva. Quando Spurinna giunse ad arrampicarsi fino alla torre, lei si voltò di scatto, con le braccia tese all’indietro a tenere il mobile tra le dita, come se avesse paura di protendersi verso di lui.
Si guardarono in silenzio, come due bestie che iniziano ad affrontarsi.
«Tu sei Niniel?» una domanda innocente, velata di curiosità. Sembrava essersi dimenticato della missione, forse solo perché si attendeva davvero un mostro e non una bella ragazza.
«Sì» disse piano la giovane, prendendo coraggio. I suoi occhi scuri, come le piante della foresta oscura, brillarono. Fece un passo avanti «ti stavo aspettando».
«Avevi bisogno del principe azzurro?» scherzò lui con la sua voce tenorile.
«No» rimase seria lei «ma sapevo che saresti venuto. Tu mi hai lasciata, ma alla fine sei tornato da me, finalmente».
«Io non capisco…» farfugliò il giovane, perdendo la sua sicurezza, quando sentì la donna avvicinarglisi e posargli una mano sul petto. Un odore di erbe gli colpì le narici e si sentì stordito. Un desiderio sopito si erse a dominargli il corpo. Non si sentiva più padrone dei propri sentimenti, ma aveva come un istinto che lo spingeva ad abbandonarsi completamente a quella donna. Si sedette a una pressione della sua mano, ma sentiva oppressione a sentire le sue labbra divampare sulle sue, si sentiva a disagio quando i suoi palmi rapaci gli sfioravano la pelle nuda. Avrebbe voluto ribellarsi, ma era come stordito da quella droga e si sentì usato da una passione che non gli apparteneva e che non sentiva veramente. La sentiva fremere sopra di sé, perdere la sua possibilità di amare per accontentarsi di una passione repressa che l’aveva rinchiusa in quella torre e l’aveva allontanata dal mondo.
Lei si dannò, rinunciando per sempre ai suoi veri sentimenti e lasciando che Azazel e Lilith la trascinassero al cospetto di Lucifero. Non vi era possibilità di redenzione per chi viola il prossimo.
Lui, ripresosi, scese nel villaggio. A chi narrava la violenza subita, in risposta sentiva solo scoppi di risa. Veniva accusato di averla violentata, di essersi divertito e infine di averla uccisa per nascondere le prove. Sentiva solo scoppi di risa, accuse perché si scusava di averla violentata, di essersi divertito e di averla uccisa. Fu dannato in terra, perché il suo dolore non veniva riconosciuto e non si poteva comprendere la sofferenza di un’anima che aveva subito la violenza di essere obbligata ad amare.
Alice Jane Raynor’s “La leggenda della vergine nella torre” is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License
Hai alterato completamente la tipica leggenda della vergine nella torre. Tramutandola in una storia di dolore, morte, passione sfrenata e dannazione. Hai colto pienamente il prompt.
E’ tutto scritto in modo scorrevole, attento.
I miei complimenti!
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Sono contentissima ti sia piaciuta, grazie 🙂
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La storia in se è bella e c’è molto che riguarda la dannazione (che andava a mio giudizio più particolareggiata), ma sinceramente non mi ha coinvolto come le atre tue storie, la lettura ha stentato ad unire aòlcuni passaggi e nel finale manca una sorta di logica, una spiegazione alla dannazione. Scusa, ma non riesco anon essere sincera.
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Apprezzo sempre la sincerità 🙂 tu che mi segui da molto conoscerai sicuramente il meglio dei miei scritti 🙂 Anche io trovo di essere stata troppo affrettata, specialmente nel finale. Purtroppo un po’ per le poche parole a disposizione (non potevo tagliare parti di introspezione, altrimenti non avrebbe avuto senso nè parti favolistiche che collocavano la storia), un po’ per l’ispirazione ballerina di questo periodo (non sto scrivendo quasi nulla). Ho comunque intenzione di riprenderla, ampliarla e migliorarla ^^ grazie per il tuo parere
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Grazie a te per la tua spiccata intelligenza.
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Ciao! Prima o poi riuscirò anch’io a partecipare al contest, spero. Nel mentre sto passando un po’ a leggere le varie storie. Il tuo racconto mi è piaciuto, soprattutto per quell’atmosfera oscura che si mescola a elementi più fiabeschi… La trama, tuttavia, in alcuni punti mi è sembrata un po’ veloce, forse anche perché avevi un limite di parole da rispettare. Alla prossima! 😉
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Ti aspetteremo sempre per il contest 🙂
Sì purtroppo è stato difficile gestire tutto in poche parole, soprattutto visto che era da tempo che non scrivevo e dovevo riprendermi dalla pausa. Grazie per essere passata ^^
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Molto bella e particolare la storia. Capovolgendo il solito principe che salva la bella… l’argomento non era facile, io sulla dannazione non ho avuto ispirazione, amo troppo il lieto fine. Infatti, volevo chiederti, ma un finale alternativo, no? Fuori dalle limitazioni dal contest 😅 Sono una romantica e mi aveva proprio presa la storia…
comunque bravissima 👍
ps: altra domanda ma la ripetizione nell’ultimo capoverso è voluta?
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Sono contenta ti sia piaciuta 🙂 io amo troppo i finali tragici invece! Prima o poi scriverò qualcosa a lieto fine, si spera! Comunque alla fine potevi usare il tema “dannazione” come volevi, quindi forse potevi anche giungere a un lieto fine 🙂 per questo racconto non scriverò lieti fine, non me la sento proprio!
Ps. quale capoverso?
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Ciao ^^
Ti ripeto quello che ti ho detto anche in privato xD la storia è molto bella, per me, però, ti sei concentrata troppo sulle descrizioni iniziali e sei andata troppo di fretta col finale. Per il resto, complimenti.^^
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Grazie 🙂 eh sì me lo avevi detto ma purtroppo non potevo rinunciare all’ambientazione favolistica nè al dramma interiore, avrebbe reso meno >.< comunque molto probabilmente a parte aggiusterò quello che mi hai detto. Grazie ^^
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Che storia… intrigante! Va beh che tu sei sempre garanzia di ottima qualità, ma qui c’è qualcosa di molto originale: sei partita da una situazione stile Raperonzolo per scrivere una storia gotica, inquietante, terribilmente cruda e affascinante per questo motivo *.* davvero un ottimo lavoro, e poveri entrambi i protagonisti, in balia di loro stessi! Complimenti, tutto molto ben scritto ^^
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Ti ringrazio 🙂 sei molto gentile! Sono contenta che il mio racconto ti sia piaciuto ^^
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