Il Firmamento della Solitudine
Questo racconto faceva parte di una serie di storie scritte con un numero prestabilito di caratteri: era fondamentale concentrarsi sugli elementi chiave della storia. Buona lettura!

Mi voltai verso la finestra e irrimediabilmente fui attratta dal cielo. Lo guardai, per lunghi istanti, i pensieri annullati dalla contemplazione. La musica triste e straziante del violino, accompagnato da quello deciso, dolce e malinconico del pianoforte, erano solo un ronzio paragonati a quella meraviglia. La sentivo, ma non la ascoltavo, pur se indirettamente ne venivano influenzate la mia psiche e il mio inconscio. Il firmamento era di un blu intenso e vivo, a spezzare la sua uniformità vi era un’unica nitida nuvoletta che vegliava sulla lontana verde collina. Il sole non si poteva scorgere ma lo avvertivo brillante e potente nella magnificenza primaverile. Poi, richiamata dalla incombenze della vita, dopo quello che per me fu un lungo tempo, distolsi lo sguardo. Ma ogni volta che la mia mente pensava, ecco che dipingeva ancora e ancora quella volta azzurra.
A scuola, in quella grigia realtà di ogni adolescente, quasi automaticamente frugai nel borsellino ed estrassi una matita. La rigirai tra le mani, indecisa su cosa dovessi fare di preciso. Poi presi un foglio e iniziai a disegnare. Ero talmente assorta nelle sfumature e nei leggeri tratti che la ricreazione passò, senza che nessuno mi rivolgesse la parola. Ero ormai abituata a questo loro modo di fare, tanto che ero arrivata a non darci molto peso. Io avevo ormai rinunciato ad avvicinarmi, dato che ricevevo solo scherno e derisioni. Eppure, anche se non volevo dare importanze, in quelle pause sedevo al mio posto, leggevo, disegnavo o inventavo qualsiasi cosa pur di trascorrere il tempo, ma sentivo sempre un’angoscia, come se mi sentissi a disagio per gli altri che mi osservavano in quello stato. Sapevo che quando mi guardavano, veloci e rapaci, si compiacevano del mio isolamento. Sapevo quanto non mi apprezzavano, sapevo che mai sarebbero venuti ad accettare la mia amicizia. Avevo un disperato bisogno di affetto e non capivo quale fosse la mia diversità, cosa ci fosse in me che non andasse bene.
A quel solo pensiero, aggrottai le sopracciglia, la punta della matita si infranse, schiacciata con troppa forza dalla mia presa che si era fatta ferrea, come a scaricare quella rabbia e quella solitudine che mi aveva assalito.
Resta calma.
Fu l’unica cosa che riuscii a pensare, scossi la testa rassegnata e presi a temperare la matita.
Pensare, pensare era l’unica cosa che mi era rimasta, conversavo da sola, nel disperato tentativo di trovare conforto alla mia solitudine. Avevo ceduto alla freddezza come soluzione, mi volevo convincere che non mi servivano gli altri, che i sentimenti erano inutili. Sorrisi amaramente, non era assolutamente vero. Attraversavo un momento in cui non volevo più soffrire, ma questo mi sottraeva anche alla fugace felicità di un amicizia o di qualsiasi piacere. Mi ero costruita la mia fantasia per continuare a vivere, per arrancare disperatamente, per trascinarmi in quel dedalo oscuro e dimostrare a me stesso e a chi mi scherniva che potevo farcela.
Ero diversa un tempo. Era gentile forse ingenua e la gente mi aveva usata senza alcuno scrupolo, e io chiedevo in cambio solo amicizia, solo qualche misera attenzione che potesse realizzarmi e riscaldarmi il cuore. Anche adesso, sepolta da una coltre di ghiaccio – perché ero voluta diventare così e lo ero diventata – speravo ancora in questa semplice serenità e quindi non potevo fare altro che guardare gli altri ragazzi giocare e scherzare, senza che io potessi divertirmi e senza che potessi sorridere. Sì, avrei voluto trovare qualcuno che mi facesse sorridere, ma la ricerca era stata vana.
Sei debole.
Fu tutto quello che riuscii a pensare, riacquistai il mio controllo, rimproverandomi severamente.
Ricordati di non mostrarti debole, perché gli altri potrebbero schiacciarti.
~
«Signorina T.»
Alzai lo sguardo, rispondendo al richiamo della professoressa che mi stava di fronte. Il viso spigoloso, i capelli rossi scuri, lo sguardo arcigno sotterrato da occhiali e una maschera di rispettabilità. Non parlai, perché temevo che la mia voce sarebbe stata instabile e insicura. Inutile dire che la temevo, inutile dire che mi terrorizzava per il semplice motivo che mi odiava. Un odio che non riuscivo a razionalizzare, perché non avevo fatto niente per meritarla.
La osservavo, selvaggiamente, cercando di sostenere il suo sguardo. Ero curva, rigida e incredibilmente fredda. I capelli scuri mi coprivano metà del volto.
«Non capisco perché sei così testarda e maldisposta verso i tuoi compagni. Ti rivolgono sempre la parola e tu, per tutta risposta, li schernisci e li cacci. Non finirai bene, assolutamente. Ha un indole cattiva, tendi a maltrattarci e prenderti gioco di noi. Non finirai bene.»
La guardai con astio, non riuscendo a controllarmi. I compagni mi si avvicinavano solo su espresso invito dei professori. All’inizio lo avevo apprezzato, poi mi aveva infastidito. La loro era pura ipocrisia, cercavano di parlarmi solo per obbedire a sciocche convenzioni sociali, mi compativano odiandomi. Lo leggevo dai loro occhi, dai loro dispetti, dalle loro parole. Non potevo ridere con chi mi sentivo a disagio, non potevo in alcun modo scherzare con persone tanto meschine.
«La solitudine spesso non nasce dall’uomo stesso, ma da chi lo circonda.» Tentai di ribattere, cercando disperatamente di apparire sicura e distaccata.
I suoi occhi si rimpicciolirono, mi sentii completamente squadrata da quello sguardo pieno d’ira, che non amava essere contraddetto «Dovresti imparare l’umiltà e imparare a tacere ed ascoltare. Se sei asociale non è colpa dei tuoi compagni ma unicamente tua. Nessuno ti sopporta e nessuno ti ama, probabilmente sarebbe preferibile che sparissi da questo mondo.»
Traumaticamente ero passata dall’infanzia a una certa maturità, un singolo episodio che mi aveva gettato nello sconforto, per colpa di quei miei stessi compagni che non distinguevano uno scherzo da qualcosa di più serio. Quelle parole in loro difesa mi facevano male, facevano nascere quella rabbia che avevo sentito quando avevo conosciuto la violenza e il tradimento. Ma allo stesso tempo sapevo che era colpa della mia freddezza se nessuno mi amava, forse davvero dovevo abbandonare quel mondo. I miei tratti diventarono feroci, i pugni si contrassero, il mio corpo fremeva. Disperatamente trattenevo le lacrime che mi avrebbero gettato in quella sensibilità che era anche la mia debolezza. La semplice verità che ero inutile, che nessuno mi amava e che facevo meglio a sparire, stava esplodendo nella mia mente. Avrei voluto urlare, piangere ma non lo feci, rimasi immobili. Sentendo la scarica di insulti che seguirono, preferii tacere e rimasi immobile.
Mi voltai verso la finestra e lo vidi, il cielo nuvoloso, la nuvoletta candida aveva perso la sua identità e la sua brillantezza, tutto era diventato grigio e sporco. Alcune lacrime infine mi bagnarono il volto, le asciugai furiosamente, sapendo di dovermi fare forza da sola e rimasi nel mio cupo silenzio.
~
Nella solitudine della camera vuota, nel buio della notte inoltrata, quelle parole continuavano a risuonare, marchiate a fuoco sulla mia pelle. Camminavo silenziosamente, senza farmi sentire ma con impeto, con forza, assecondando la forza del mio flusso di pensiero. Poi mi fermai, guardando la luce pallida della notte. Guardai poi la strada sottostante, sarebbe stato facile aprire la finestra e compiere il resto.
Sorrisi amaramente, quasi frenata da un pensiero. Estrassi il disegno accartocciato dalla cartella e lo guardai. Forse era superbo ma pensai istantaneamente che io ero come la nuvola bianca, sola ma con una personalità definita. Se soltanto mi fossi mescolata con il resto avrei perso la mia identità, la mia dignità e il mio orgoglio.
Non avrei dovuto arrendermi, mai più avrei permesso alla furia di abbattermi. Era troppo facile arrendersi, bisognava combattere e drizzarsi attraverso le avversità. Avrei cercato ciò che mi interessava, senza lasciarmi distogliere dalle futili parole. Non avrei mai perso la mia personalità, mai avrei permesso che io mi dissolvessi nel vento.
Guardai fieramente la luna, il vento spirava freddamente. La vita sarebbe stata la mia sfida.
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Ciao cara 🙂
Più ti leggo e più mi piace come scrivi. Questo racconto è davvero molto intenso e profondo, mi è piaciuto moltissimo! 😀 Complimenti, sei proprio brava!
Buona giornata! A presto! 😉
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Ciao ^^ Sono contenta che tu sia passata a leggere anche questo racconto e soprattutto che lo apprezzi 😀
Non sai quanto questi commenti mi facciano piacere ^^
Spero di rivederti presto 🙂
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Introspettivo, profondo e…mi ci ritrovo, il che mi inquieta non poco o.O non è che siamo separati alla nascita? 😛
Però se posso dirtelo, usa meno avverbi (che rallentano la narrazione e rendono lo stile inutilmente ampolloso) e in ogni punto dove ti è possibile, evita le ridodanze (“quasi automaticamente” può scriverlo solo Licia Troisi…e a mio parere è il corrispettivo della matita che il Joker pianta nell’occhio dello scagnozzo in Batman 2 d.d).
Sono gli stessi errore che spesso e volentieri faccio pure io
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Ciao ^^ Grazie per aver commentato questa storia 🙂
Purtroppo molte persone vivono queste o esperienze persino peggiori… ma alla fine è un modo per crescere e cercare di superare queste difficoltà.
Purtroppo questi sono racconti scritti di getto e sì, diventano molto ampollosi, sicuramente lo ricontrollerò e aggiusterò quello che mi dici ^^
Grazie per le segnalazioni 🙂
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“Ti rivolgono sempre la tua parola” c’è un tua di troppo.
Molto bello ma stavolta mi trovo a non condividere in pieno. I compagni di classe sanno essere crudeli, è vero, ma spesso è anche colpa di chi non ci vuole neanche provare. Anch’io ero così, non volevo perdere tempo a parlare con chi non voleva ascoltarmi ma non ero sola, conoscevo persone nelle altre classi e uscivo con amici non legati alla scuola. Capisco ma non condivido del tutto. 🙂
Il testo resta comunque meraviglioso, come sempre del resto.
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Ciao ^^ Grazie per essere passata
Ti dirò che capisco perfettamente quello che vuoi dire e hai ragione. Il punto di vista è quello della protagonista quindi ho voluto lasciare spazio alla sua introspezione, non al mio punto di vista.
Sinceramente ti dico anche che la situazione in cui mi sono venuta a trovare (è autobiografico) è un po’ particolare e con i miei compagni di classe era guerra continua e non riuscivo a fare altre amicizie ^^”
grazie come sempre 🙂
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Infatti ho detto a volte. ^^
Anch’io ero una persona che preferiva non combatterci. Per fortuna avevo un mondo fuori dalla classe e fuori dalla scuola, quindi quelle 6 ore passate con compagni con cui non mi trovavo pesavano sì ma sapevo perfettamente che la mia vita era altrove con persone che mi volevano bene. ^_^
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”Una paura e una diffidenza improvvisa verso ciò che essa amava, un lampo di disprezzo verso quel che per essa significava ‘dovere’, un desiderio ribelle, arbitrario, vulcanicamente irruente di partire, allontanarsi, estraniarsi, raffreddarsi, rinsavire, gelarsi, un odio per l’amore, forse un gesto e uno sguardo sacrileghi ‘indietro’, verso ciò che essa sinora aveva venerato e amato, forse un rossore di vergogna per quel che ha appena fatto, e insieme un’esultanza per averlo fatto, un ebbro, esultante brivido interiore nel quale si rivela la vittoria – una vittoria? su che cosa? su chi? una vittoria enigmatica, ricca di domande, problematica, ma pur sempre la ‘prima’ vittoria: simili cose brutte e dolorose appartengono alla storia della grande liberazione.” NIETZSCHE
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Al liceo ancora non ho avuto la possibilità di conoscere meglio il pensiero di Nietzsche ma più volte mi sono ritrovata davanti a sue citazioni e detti che ho trovato sempre molto belle ^^ Ti ringrazio per avermi dato la possibilità di conoscere anche questo suo pensiero 🙂 Spero di conoscerlo al più presto
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